Valeria Cardillo Piccolino, Psicologa del Lavoro laureata all’Università “La Sapienza” di Roma ed Executive Coach. Si specializza in ambito HR, prima in qualità di “Learning&Development Consultant” in ambito Formazione e successivamente “Onboard Training&Development Specialist” a livello APAC ed EMEA in Costa Crociere. Attualmente si occupa di sviluppo competenze e formazione in Newton, società di Milano la cui missione è creare contesti organizzativi favorevoli al cambiamento, all’innovazione d’impresa ed al benessere.
Come ti descriveresti in due parole?
Esploratrice di luoghi e persone. Viaggio con curiosità in paesi e culture lontane dalla mia, ascolto storie di diversità, scovo somiglianze e ne traggo insegnamenti.
Parlando di engagement, uno dei temi caldi per le aziende, cosa ne pensi?
Penso che effettivamente sia una questione delicata su cui le aziende hanno bisogno di porre attenzione. Gallup, società americana specializzata nella ricerca sociodemografica a livello mondiale, ci dice che il disingaggio dei dipendenti costa alle aziende americane tra i 450 ed i 550 miliardi di dollari all’anno. Ogni lavoratore non ingaggiato rappresenterebbe un costo per l’azienda pari al 34% del proprio stipendio in termini di minor produttività, assenteismo e relativo effetto dirompente sul clima aziendale. Al contrario, un Engagement elevato comporta livelli maggiori di innovazione, produttività e soddisfazione dei clienti, solo per dirne alcune.
In base alla tua esperienza da dipendente ed ora da consulente, qual è la tua percezione?
In entrambi i ruoli mi è capitato di entrare in contatto con molte persone apparentemente poco motivate o addirittura arrabbiate. Non appena venivano stimolate nella maniera giusta, coinvolgendole ad esempio in un progetto di interesse, chiedendo il parere piuttosto che imponendo una visione, osservavo il loro atteggiamento cambiare drasticamente.
Cosa consiglieresti ad un’azienda che volesse seriamente lavorare sull’engagement?
È difficile dare una risposta breve, innanzi tutto bisognerebbe indagare in profondità le cause della demotivazione diffusa e poi agire su di esse, senza tralasciare nulla. Per lavorare sull’engagement, ritengo necessario agire a partire dal quotidiano, dalla maniera in cui le persone si relazionano o vengono coinvolte nei progetti, dal sistema e dai processi con cui l’azienda funziona. Non si può pretendere di smuovere gli animi con un’iniziativa sporadica. È come se una coppia sposata volesse salvare la propria relazione e riaccendere la passione andando a cena in uno stellato Michelin una volta al mese.
Per te qual è una delle maggiori leve per generare engagement nelle aziende?
Credo che il lavorare su una leadership più inclusiva delle opinioni altrui, capace di generare vera partecipazione, un clima di fiducia e di serenità, piuttosto che di “terrore”, sia un ottimo punto di partenza. Goleman, noto psicologo statunitense ed autore di “Intelligenza Emotiva” e Boyatzis, professore di Comportamento Organizzativo e Risorse Umane, in un articolo sulla biologia della leadership, ci dicono ad esempio che un leader che sorride ed è di buon umore quando si rivolge ai suoi collaboratori, ingaggia in loro gli stessi neuroni a specchio ed ha maggiori probabilità di ottenere risposte ingegnose e creative. Anche John Bowlby, studioso degli stili di attaccamento genitore-bambino, ha spesso evidenziato l’importanza di una “base sicura” da cui partire per risvegliare nella persona la capacità di sfidare sé stesso per raggiungere un obiettivo, esplorando nuove possibilità e assumendosi dei rischi sani. Ecco, credo che un buon manager dovrebbe rappresentare questa “base sicura” per il proprio team.
Qual è uno strumento che consiglieresti ad ogni manager per svilupparsi in tal senso?
Certamente il coaching che presuppone un forte lavoro di autoconsapevolezza e di potenziamento della fiducia nelle capacità del proprio coachee. Il coaching si identifica come partnership tra coach e coachee: attraverso un processo creativo, si stimola la riflessione, ispirando il coachee a massimizzare il proprio potenziale personale e professionale. Serve un lavoro costante su di sé. E, infatti, molto facile cadere nel giudizio e proporre la propria idea.
E quindi un manager da cosa potrebbe partire? Intanto dal conoscere sé stesso, le proprie dinamiche relazionali, il perché delle proprie reazioni. Ma anche dal ricordare che il cuore del proprio ruolo è “tirare fuori” il meglio dalle persone che lavorano con lui ed aiutarle a crescere.
BIBLIOGRAFIA
https://www.theemployeeapp.com/gallup-2017-employee-engagement-report-results-nothing-changed/
‘Social Intelligence and the Biology of Leadership’, Goleman & Boyatzis, Harvard Business Review Sept 2008
https://www.shiftboard.com/blog/real-cost-employee-disengagement/